SE IO FOSSI IRACHENA

par yusra88 Sam 29 Juil - 11:23

SE IO FOSSI IRACHENA

In questi giorni forse più che in passato mi pongo continuamente questa domanda: e se io fossi irachena, cosa farei ora?

Sarei andata a votare? Vedrei con occhio favorevole i poliziotti irakeni che collaborano con le forze occupanti della coalizione? Riuscirei a dire "nostro" pensando al cosiddetto presidente irakeno che non si è ancora capito in cosa differisca da Saddam?

Proverei gratitudine per coloro che ci hanno sterminato, torturato, stuprato, impoverendoci e rubandoci tutte le risorse naturali che in realtà sono la causa prima di tutta questa guerra, che guerra non si può chiamare perché bisognerebbe combattere in due accentando di ricorrere alle armi, dichiarando aperto il conflitto, e non inventandosi la bugia delle fantomatiche armi di distruzione di massa e la bugia ancor più grave del desiderio di esportare la democrazia per sentirsi legittimati ad usare anche armi non convenzionali per bombardare un popolo inerme stremato da decenni di dittatura; non è guerra, ma genocidio!

E ancora, se io fossi irakena e camminassi per le strade distrutte della mia città e vedessi soldati stranieri, riuscirei a distinguere quelli che mi hanno bombardato da quelli che sono venuti come "forze di pace"? E da quando la pace si porta a bordo di carriarmati e mitra?

Se io fossi irakena e volessi difendere fino alla morte la mia famiglia, la mia casa, la mia città, la mia patria, sarei una terrorista o una partigiana? A sentire in giro sarei terrorista, e dovrei avere qualche legame col Bin o col Zarq di turno, forse sarei addirittura etichettata come braccio destro di quello o di questo( ma cosa sono, polipi che hanno mille bracci destri?).

Eppure passando in rassegna gli inni nazionali di varie nazioni ricorre sempre l'espressione "difendere la patria"; qualcuno, non ricordo bene chi sia, dice:" siam pronti alla morte, siam pronti alla morte la patria chiamò". Non sono certa che siano le parole letterali, ma allora dare la vita per difendere la patria fuori dall'Iraq e della Palestina naturalmente, è un'azione lodevole, persino incoraggiata. Perché gli altri si e noi no?

Se io fossi irakena, consapevole di venire dal paese che è stato la culla dell'umanità con la sua grande civiltà, il suo grado di progresso e innovazione, la sua cultura, le sue scienze, la sua arte, la sua musica, e oggi venissi guardata come un animale allo stato selvaggio da addomesticare, da istruire, come mi sentirei? Mi andrebbe il sangue alla testa per la rabbia, come minimo.

Se io fossi irakena e avessi un figlio malato che non potessi curare, un figlio che ha fame, un figlio che ha paura, come mi sentirei? I nostri figli vengono turbati se vedono i poliziotti della stradale a soccorrere due vetture incidentate, e a noi mancano le parole per rasserenarli; se avessimo figli in Iraq dovremmo spiegare loro perché bruciano le carcasse delle auto -bomba in mezzo alle strade, perché dal cielo piovono piovono missili e fuoco, perché ci sono mine a forma di giocattolo, perché non possono giocare serenamente coi loro amici senza avere il terrore di essere uccisi.

Se io fossi irakena starei male, molto male: l'ipocrisia e la corruzione che dilagano, che diventano legge sarebbero le prime armi ad uccidermi. Mi ucciderebbe la fame e la miseria, ancor più gravi perché l'Iraq è un paese ricchissimo, mi ucciderebbe il dolore per tutti coloro che ho perso e per coloro che soffrono intorno a me; mi ucciderebbero i discorsi, anzi le farneticazioni di certi politici che provano a convincere i loro elettori che questa guerra andava fatta, che non è stata guerra ma processo di democratizzazione. È come quando si parla ritiro da Gaza e i giornali invece di dire "ritiro degli invasori, o coloni" che va più di moda, dicono "disimpegno da Gaza"; ma è etica professionale questa???

Non sono irakena, forse è meglio così, sono più fortunata io ad essere nata dove esiste ancora libertà e un fondamentale rispetto dell'essere umano. Non sono irakena ma l'Iraq mi è entrato nel cuore quando ho studiato la storia dei paesi arabi e l'Iraq era terra natale di artisti, filosofi, scienziati, architetti, teologi; l'Iraq mi è entrato nel cuore attraverso gli occhi dei bambini che ho visto, della piccola Ghaida (12 anni) ricoverata ad Ancona perché un proiettile americano le aveva perforato il capo collocandosi tra l'occhio ed il cervello mentre attraversava la strada per portare del pane appena sfornato ad una vicina che non aveva di che mangiare; non è una storiella strappalacrime, è cronaca di ordinario orrore.

Non sono irakena, ma se lo fossi avrei le vesti impolverate e le mani screpolate, forse sarei in qualche angolo di strada in preda ad un attacco d'asma aspettando che mi passi da solo perché avere medicinali è quasi un privilegio riservato a pochi. Avrei voglia di gridare quello che accade ma che gli altri non raccontano: i morti che non vengono contati, i bambini che vengono imprigionati e stuprati, i corrotti che si prendono il potere e le ricchezze, le multinazionali che si impadroniscono di ogni cosa, globalizzazione by war, i paesi arabi che guardano in silenzio e spesso sono complici degli eserciti stranieri, ma che poi parlano di umma araba, la grande famiglia islamica…ma dove?

Se io fossi irakena vi pregherei di non guardarmi con compassione, "poverina", né di lavarvi le mani dalle vostre responsabilità "noi abbiamo solo favorito la pace", e soprattutto vi chiederei di tacere e non mentire "incivili da civilizzare"…

Asmae Dachan